venerdì 13 aprile 2007

Morte bianca nel porto di Genova

Si chiamava Enrico Formenti ed aveva 40 anni l'uomo che stamani e' rimasto schiacciato da una
balla di cellulosa del peso di circa due tonnellate, al terminal Forest di Ponte Somalia. Formenti era uno uno dei responsabili operativi del terminal.
Secondo le prime indagini compiute da Polmare e Asl, che e' l'organo di vigilanza in ambito di prevenzione e sicurezza sul lavoro, pare che Formenti stesse smarcando gli imballaggi per conto di un cliente o per una destinazione. In pratica, probabilmente, faceva un'operazione di controllo e non di movimentazione.
Le balle in quell'area erano accatastate una sull'altra per un'altezza complessiva di circa 8 metri. La pila da cui e' precipitata la balla che ha schiacciato il portuale era poggiata su dei supporti in legno mentre in un'altra zona erano impilati a pavimento.
Una balla e' improvvisamente piombata addosso a Formenti; quando e' intervenuto il primo soccorritore l'uomo era gia' morto.
Sul posto, oltre a Polmare, Asl e Capitaneria di Porto e' intervenuto anche il pm Walter Cotugno che ha disposto il sequestro sia dell'area in cui e' accaduto l'infortunio mortale sia di un'ampia parte del terminal dove vi e' il deposito di stoccaggio, un'area di 200 metri per 50 circa, dove sono accatastate tutte le balle. Questo, e' stato spiegato in Procura, al fine di verificare che i 'pacchi' di cellulosa siano in sicurezza.

LA GALLERIA DI FOTO DEL BLOCCO IN CORSO


blocco porto di genova

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La morte di Enrico Formenti, il terminalista del porto di Genova deceduto oggi sotto una balla di cellulosa al terminal frutta, è l'ultimo di una lunga serie di infortuni che hanno colpito negli ultimi anni lo scalo ligure. I dati sono impressionanti. In nove anni si sono verificati ben 25 incidenti mortali solo fra i portuali: questo numero cresce in modo impressionante (24 decessi in 5 anni) se si aggiungono le altre morti avvenute sempre "in porto" ma in altre categorie: operai, marittimi di bordo, camionisti.
Un altro dato, riferito alla sola Compagnia Unica, la categoria numericamente più importante del porto di Genova con circa 1000 persone impiegate, non lascia dubbi sulla pericolosità del lavoro nei terminal oggi: una ricerca della Bocconi realizzata alla fine degli anni '90 parlava di circa 700 infortuni l'anno, di varia gravità, su mille lavoratori.
Quello della sicurezza, insieme al salario, rappresenta uno dei parametri più sensibili per la valutazione del reale stato della portualità italiana. Il numero di incidenti nel resto dei porti europei storici è di gran lunga inferiore a quello italiano, e un portuale greco, spagnolo o francese ha un trattamento economico tre volte maggiore di un suo collega italiano.
Il sistema portuale nel nostro paese è in crisi da almeno cinque anni. Mentre gli altri porti del Mediterraneo crescono in proporzione all'attuale incremento dei traffici di merci (si prevede il raddoppio entro il 2025), i porti italiani sono fermi, o in deficit, rispetto alle movimentazioni della fine degli anni '90. La crisi economica e strutturale del comparto logistico portuale si trasferisce nel progressivo degrado anche della qualità del lavoro, della sicurezza e dei diritti. "Se si dovessero applicare alla lettera le norme di sicurezza previste dalle normative internazionali – racconta Massimo Meucci, portuale e segretario di uno dei circoli di lavoratori di Prc a Genova – il porto, qualsiasi porto, si fermerebbe". Mentre molto spesso il lavoro non si ferma nemmeno davanti a incidenti mortali, come racconta Luca, un altro portuale: "Ho visto morire un ragazzo schiacciato fra due "ralle". Lo sai cosa hanno fatto? Ai tempi di mio padre avrebbero bloccato il porto, e invece hanno coperto la pozza di sangue con la segatura e hanno continuato a lavorare".
La sicurezza in porto è legata a numerosi fattori, dalla manutenzione allo stato delle navi da caricare e scaricare, dalle condizioni generali di lavoro all'uso di straordinari e "doppi turni". Il lavoro è diviso su quattro turni a coprire l'intero arco della giornata. Spesso, quando ci sono flussi di lavoro intensi, la "chiamata" è ravvicinata. Un turno, poi sei ore di riposo, un altro turno, altre sei ore e così via. Quando la turnazione è così intensa è inevitabile che la stanchezza e la concentrazione cali pericolosamente. E in questo caso è facile provocare un incidente o esserne vittima.
"Quello che manca sono le regole, delle regole vere – dichiara Bruno Rossi, sindacalista e ex dirigente della Compagnia Unica – Nei terminal, oggi, di fatto chi decide anche della sicurezza è soltanto l'impresa, che risponde esclusivamente alle logiche del profitto". E' la logica delle privatizzazioni, confermata e descritta anche dalla pubblicistica ufficiale.
"Gli Enti Portuali si sono ritirati da ogni funzione operativa, trasformandosi in Autorità Portuali e le Compagnie Portuali, che operavano come organismi "di fatto" di natura pubblica, sono diventate imprese di diritto privato – Si legge in Operazione Mediterraneo, documento dell'Ancip, l'associazione che raccoglie le compagnie portuali - mentre la gestione delle operazioni portuali è stata affidata a società private. E' difficile trovare nel contesto italiano un processo analogo di devolution, di privatizzazione e di apertura al mercato così radicale e contemporaneo".
Se oggi, dopo la morte di Formenti, il porto è bloccato lo si deve anche all'esasperazione e al disagio accumulato da molti lavoratori: già nei due giorni precedenti la tragedia si erano verificati altri quattro infortuni più o meno gravi. E non solo. Alcuni lavoratori si erano esposti personalmente proprio nelle scorse settimane per denunciare la situazione di degrado ricevendo intimidazioni e pressioni per ritirare le proprie dichiarazioni: si era arrivati addirittura a scritte intimidatorie in porto e in alcuni casi si è giunti a passi formali da parte delle aziende con minacce di provvedimenti disciplinari a chi aveva avuto il coraggio di parlare.

5 commenti:

roberto ha detto...

13 Aprile 2007. Ad Enrico.

Una mattina come le altre? Purtroppo no.
Ti svegli, ti alzi, ti lavi, fai colazione.
Una mattina come le altre? Purtroppo no.
Baci tua moglie, annusi il respiro di tuo figlio che dorme, esci di casa.
Una mattina come le altre? Purtroppo no.
Arrivi in ufficio senza sapere che non sarà un bel giorno, senza sapere che a breve ti si aprirà un vuoto forse incolmabile.
Di li a poco un amico ti lascerà. Per sempre.
Uno scherzo, pensavo, quando Dani entra in ufficio dicendo che Enri era sotto un pacco di cellulosa.
Uno scherzo, pensavo, e per questo sorridevo.
Poi, in un attimo, mi resi conto che non stava scherzando.
Luca ed io siamo corsi subito fuori dall’ufficio.
Dall’inizio della galleria, in fondo, vedo tanta gente, ambulanze, vigili del fuoco.
Arrivo in fondo senza più fiato.
Non è una mattina come le altre.
Una vita si è fermata alle 9.
Non è una mattina come le altre.
Da sotto il pacco spunta la sua mano col guanto con le sue iniziali: EF.
Non può non essere una mattina come le altre.
Deve essere una mattina come le altre.
A 3 metri da Enrico cerco di variare la verità chiedendo ad un milite della CRI.
Non mi ha risposto.
Passavano i minuti e lui era sempre li sotto.
Finalmente gli tolgono il pacco da sopra.
Sapevo che non sarebbe stato un giorno come gli altri, ma non lo avevo ancora accettato.
Poi il lenzuolo bianco a coprirlo.
Dovevo accettarlo.


Ancora oggi non accetto.
Non accetto una vita rubata in questo modo.
Non acceto il pianto degli amici.
Non accetto la disperazione di una giovane donna.
Non accetto la tristezza dei bambini.
Non accetto la strumentalizzazione.
Ammiro la compostezza e la dignità di Monica.
Ammiro il voler tenere vivo il ricordo da parte degli amici.

E’ morta una bella persona.
Si chiama tutt’ora Enrico.
Tutt’ora lo chiamiamo, tutt’ora gli parliamo,tutt’ora lo vediamo.
Perché lui c’è e si fa sentire con chi gli vuole bene.

Pietro Orsatti ha detto...

Ho scritto di Enrico su Liberazione e Left, ho parlato di portualità e portuali in due documentari. Ma fiumi di inchiostro e chilometri di pellicola non sono niente al confronto di quello che hai raccontato in poche righe.
Un saluto

roberto ha detto...

06/04/09

Sono passati ormai quasi due anni dalla morte di Enri e la ferita non si è ancora chiusa, il dolore non è diminuito minimamente. Questa volta il tempo non serve, non è la migliore cura.
Dal 13 Aprile 2007 non c'è giorno che non ripensi a quello che è successo, e come a me succede anche a tanti suoi amici.
Il fatto che il tempo non minimizzi il dolore fa capire quanto Enri fosse, anzi è, una persona speciale.
Ci manca molto.
Senz'altro, oltre che a guardare e aiutare la sua famiglia, sono certo che non mancherà di seguire dal terzo anello della sua Gradinata Nord il suo Genoa che lo farà gioire, arrabbiare, cantare e saltare come sempre.
Un abbraccio.
TI VOGLIAMO BENE.

cristina ha detto...

MI CHIAMANO MORTE BIANCA


Non ho più un nome
oggi per pochi soldi in cambio,
mi chiamano morte bianca.


In questo mondo gelido
chi anche muore sul lavoro
è notizia fugace.


Un silenzio che lascia sbranare,
che non smuove o scuote,
come querce sotto la bufera.


Svaniti sono i sogni di vita,
i respiri, i sospiri, le emozioni,
tutto ridotto in cinerea polvere.


Non ho più
il soave brivido di una carezza,
di un turbamento, di una gioia.


Mi affaccio sulla riva
dei tuoi ricordi
e trovo tante porte chiuse.


I miei cari no!
loro non dimenticano,
la furia della morte.


Viltà e indifferenza
hanno dato morte per fare numero
della fine di un'esistenza.


La carne e l'anima torturate
sono un abisso di dolore
uno schianto di orrore.


Effetti che mi squarciano il silenzio
da quando nessuno s'accorse
che già affogavo nella paura di morire.


Ascoltate, parlate, rompete il silenzio,
altrimenti la paura dei vili
vi renderà ciechi e sordi.


Giacomo Jim Montana

lilli ha detto...

Caro Roberto sono la sorella di enri, ci siamo incontrati una volta. Hai scritto delle parole bellissime che conservo nella scatola dei ricordi nella quale ogni giorno aggiungo qualche cosa:una foto, un articolo scritto, una cassetta che aveva registrato per me, la sua sciarpa del genoa, un suo diario di scuola. Non è nel 3° anello allo stadio ma nella gradinata nord vicino a noi, dove era solito venire, lo sento vicino, lo sento cantare Ho paragonato il dolore all'onda del mare,se si allontana in un attimo ritorna, a volte è bassa, ma in un attimo può diventare una mareggiata devastante. Ti abbraccio Lilli