Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
CIRCOLO DEI LAVORATORI PORTUALI E DEL TRASPORTO MERCI DI GENOVA
COMUNICATO STAMPA
IL CIRCOLO DEI LAVORATORI PORTUALI E DEL TRASPORTO MERCI DI GENOVA DI RIFONDAZIONE COMUNISTA INTERVIENE SULLA VICENDA DELLE INTIMIDAZIONI SUI LAVORATORI DEGLI ULTIMI GIORNI IN RELAZIONE ALLA PROSSIMA PRESENTAZIONE DEL FILM "DE MA - TRASFORMAZIONE O DECLINO"
Il Circolo del porto ha collaborato alla realizzazione del documentario "De Ma - Trasformazione o declino" per costringere tutti a misurarsi con i fatti, con la realtà a partire dalla condizioni di lavoro in porto. Quindi non siamo stupiti delle reazioni inconsulte e violente rivolte soprattutto contro un dirigente sindacale (minacciato anche con scritte intimidatorie) da parte di chi non immagina altra soluzione che continuare così: le ex compagnie portuali sono e si sono relegate al ruolo di imprese di lavoro interinale con l'aggravante che i soci non sono solo la variabile dipendente dell'impresa comune a tutte le cooperative (prendono se il bilancio e in attivo, mettono se è in passivo), ma nel nostro caso i soci sono anche la merce che viene venduta sul libero mercato, rinunciando così ad ogni forma di emancipazione del lavoro.
Il film in questione mostra tutto questo. Siamo certi che verrà presentato e distribuito come previsto, e in quel momento sarà inevitabile riconoscere il fallimento irrimediabile e concettuale dell'impresa. Da quel momento si lavori insieme per trovare soluzioni praticabili, come quel del resto praticate normalmente dai lavoratori portuali del resto d'Europa.
Il film affronta l'inefficienza complessiva del modello operativo portuale conseguenza inevitabile della ideologica rinuncia al ruolo di regia pubblica del porto; a questo proposito vorremmo segnalare ai disattenti media locali e non che l'unico treminal che cresce significativamente nel porto di Genova è il VTE di Voltri che non a caso è un terminal gestito dalla autorità portuale di Singapore, cioè da un ente pubblico che si guarda bene dal rinunciare a rivestire un modello produttivo, anzi, in questa veste colonizza gli altri scali.
www.circolodelportodigenova.org
circolo@circolodelportodigenova.org
domenica 25 febbraio 2007
Le foto delle scritte intimidatorie a Genova
sabato 24 febbraio 2007
De Ma - Storia di un film che qualcuno non vuole che esca
Per un anno ho lavorato alla realizzazione di un documentario sulla realtà del lavoro del porto di Genova, "De Mä, trasformazione o declino". Fin dall'inizio non ho voluto seguire la via tradizionale dell'inchiesta giornalistica patinata, con un pastone di dichiarazioni dei vari soggetti istituzionali, imprenditoriali e sindacali; ho voluto invece immergermi nelle storie dei lavoratori, raccogliendo racconti e immagini di lavoro e di vita, dando voce a chi spesso non ne ha. E molti lavoratori in questa lenta costruzione narrativa mi hanno accompagnato, offrendo il proprio volto e la propria esperienza personale con generosità, a volte con dolore e altre con allegria. Quello che è uscito fuori da questo lungo anno di lavoro ha confermato la sensazione che fin dalla prima bozza di stesura del documentario: non solo la stagione eroica dei camalli genovesi, dell'élite della classe operaia, era tramontata, ma che la trasformazione verificatasi a Genova negli ultimi 10 anni ha consentito il formarsi di un intreccio incredibile e pericoloso di precarietà, assenza di diritti, discriminazioni, degenerazioni politiche ed economiche, mancanza di sicurezza sul lavoro.
Tutto questo a fronte di una crisi, confermatasi ormai da sei anni almeno, dell'intero settore della portualità italiana che non riesce a reggere minimamente il confronto con i porti francesi e spagnoli. I dati parlano chiaro: 24 morti in porto in cinque anni; nell'ambito della Compagnia Unica (la mitica compagnia dei dockers genovesi) centinaia di incidenti all'anno su circa mille lavoratori; cattiva gestione del sistema portuale; autoproduzione (caso unico in tutta Europa) da parte dei terminalisti e armatori privati; cottimo; precarietà diffusa; mancata applicazione della legge 84/94 che prevede il contratto nazionale del lavoro portuale e l'istituto del mancato avviamento. Questi dati hanno trovato completa conferma nelle voci delle decine delle persone intervistate e delle immagini filmate durante la lavorazione.
Chiaramente mi aspettavo critiche, anche polemiche feroci: sono consapevole che in ogni caso il film ha per la prima volta svelato interamente un mondo assolutamente sconosciuto se non al ristretto ambito degli addetti ai lavori. Per questa ragione stavo cercando di organizzare una presentazione pubblica, invitando autorevoli interlocutori per aprire un dibattito aperto sull'iniziativa, e contemporaneamente stavo realizzando da alcune settimane piccole proiezioni private per calibrare al meglio il lavoro e ne ho messo parte (una versione completa a bassa risoluzione) su un indirizzo internet per raccogliere opinioni e contributi.
Ma non sono arrivati commenti o critiche, anzi. Quelle che sono arrivate sono state minacce e intimidazioni, sia verbali che scritte sui muri, ai lavoratori che avevano raccontato davanti alla telecamera la propria esperienza umana e lavorativa. Minacce chiare tese a far spaventare questi lavoratori, in particolare i giovani più esposti, per costringerli a fare un passo indietro, a "farsi togliere" dal film. La cosa più grave è che queste minacce sono state fatte sul posto di lavoro da altri lavoratori, e che le scritte sono comparse proprio nei locali della Compagnia Unica, addirittura una è stata anche posta nello spazio della bacheca ufficiale alla Chiamata, praticamente nel luogo più conosciuto e frequentato di questa sorta di "tempio" della classe operaia genovese. Scritte non generiche, ma con insulti e minacce e con il nome del destinatario in bella evidenza. Nomi di lavoratori, persone che hanno raccontato liberamente la propria condizione di lavoratori.
Una campagna assurda e vigliacca, una sorta di guerra preventiva e, questo il paradosso, ancor prima che venisse reso pubblico e presentato l'intero film.
Per questa ragione ho dovuto bloccare temporaneamente la presentazione di questa versione del film e sono tornato in montaggio: sto sostituendo le sequenze di quei lavoratori che, spaventati, si sono tirati indietro. Non li biasimo, anzi, fin dall'inizio ho sempre dichiarato a tutti che ero disponibile a ogni modifica funzionale alla loro tutela. Altri lavoratori, invece, hanno accettato di continuare, non vogliono retrocedere nonostante le gravissime pressione ricevute negli ultimi giorni.
Avevamo previsto la presentazione del film il 16 di marzo a Genova. In ogni modo cercheremo di mantenere l'impegno: lo dobbiamo soprattutto a quelle tante persone che hanno offerto il proprio volto e la propria voce all'obiettivo di una telecamera, e lo dobbiamo a tutti quei lavoratori che ogni giorno, in ogni ora del giorno della notte, in tuta e guanti rischiano la vita in porto, fra container e fasci di tubi di acciaio, pilastri di cemento e mezzi pesanti, gru e montagne di carbone e caolino. "Sono diventati come soldati per lavorare – mi ha raccontato un vecchio sindacalista che la trasformazione del porto l'ha vissuta tutta sulla propria pelle – vivono come bestie e si fanno male come bestie". Anche e soprattutto per loro è stato girato questo film.
Tutto questo a fronte di una crisi, confermatasi ormai da sei anni almeno, dell'intero settore della portualità italiana che non riesce a reggere minimamente il confronto con i porti francesi e spagnoli. I dati parlano chiaro: 24 morti in porto in cinque anni; nell'ambito della Compagnia Unica (la mitica compagnia dei dockers genovesi) centinaia di incidenti all'anno su circa mille lavoratori; cattiva gestione del sistema portuale; autoproduzione (caso unico in tutta Europa) da parte dei terminalisti e armatori privati; cottimo; precarietà diffusa; mancata applicazione della legge 84/94 che prevede il contratto nazionale del lavoro portuale e l'istituto del mancato avviamento. Questi dati hanno trovato completa conferma nelle voci delle decine delle persone intervistate e delle immagini filmate durante la lavorazione.
Chiaramente mi aspettavo critiche, anche polemiche feroci: sono consapevole che in ogni caso il film ha per la prima volta svelato interamente un mondo assolutamente sconosciuto se non al ristretto ambito degli addetti ai lavori. Per questa ragione stavo cercando di organizzare una presentazione pubblica, invitando autorevoli interlocutori per aprire un dibattito aperto sull'iniziativa, e contemporaneamente stavo realizzando da alcune settimane piccole proiezioni private per calibrare al meglio il lavoro e ne ho messo parte (una versione completa a bassa risoluzione) su un indirizzo internet per raccogliere opinioni e contributi.
Ma non sono arrivati commenti o critiche, anzi. Quelle che sono arrivate sono state minacce e intimidazioni, sia verbali che scritte sui muri, ai lavoratori che avevano raccontato davanti alla telecamera la propria esperienza umana e lavorativa. Minacce chiare tese a far spaventare questi lavoratori, in particolare i giovani più esposti, per costringerli a fare un passo indietro, a "farsi togliere" dal film. La cosa più grave è che queste minacce sono state fatte sul posto di lavoro da altri lavoratori, e che le scritte sono comparse proprio nei locali della Compagnia Unica, addirittura una è stata anche posta nello spazio della bacheca ufficiale alla Chiamata, praticamente nel luogo più conosciuto e frequentato di questa sorta di "tempio" della classe operaia genovese. Scritte non generiche, ma con insulti e minacce e con il nome del destinatario in bella evidenza. Nomi di lavoratori, persone che hanno raccontato liberamente la propria condizione di lavoratori.
Una campagna assurda e vigliacca, una sorta di guerra preventiva e, questo il paradosso, ancor prima che venisse reso pubblico e presentato l'intero film.
Per questa ragione ho dovuto bloccare temporaneamente la presentazione di questa versione del film e sono tornato in montaggio: sto sostituendo le sequenze di quei lavoratori che, spaventati, si sono tirati indietro. Non li biasimo, anzi, fin dall'inizio ho sempre dichiarato a tutti che ero disponibile a ogni modifica funzionale alla loro tutela. Altri lavoratori, invece, hanno accettato di continuare, non vogliono retrocedere nonostante le gravissime pressione ricevute negli ultimi giorni.
Avevamo previsto la presentazione del film il 16 di marzo a Genova. In ogni modo cercheremo di mantenere l'impegno: lo dobbiamo soprattutto a quelle tante persone che hanno offerto il proprio volto e la propria voce all'obiettivo di una telecamera, e lo dobbiamo a tutti quei lavoratori che ogni giorno, in ogni ora del giorno della notte, in tuta e guanti rischiano la vita in porto, fra container e fasci di tubi di acciaio, pilastri di cemento e mezzi pesanti, gru e montagne di carbone e caolino. "Sono diventati come soldati per lavorare – mi ha raccontato un vecchio sindacalista che la trasformazione del porto l'ha vissuta tutta sulla propria pelle – vivono come bestie e si fanno male come bestie". Anche e soprattutto per loro è stato girato questo film.
venerdì 23 febbraio 2007
COMUNICATO STAMPA
23/02/2006
COMUNICATO STAMPA
DOPO SETTIMANE DI PRESSIONI E INTIMIDAZIONI SUI LAVORATORI CHE AVEVANO RACCONTATO LA PROPRIA CONDIZIONE RITARDATA LA PRESENTAZIONE DI UN FILM SULLA REALTA' DEL PORTO DI GENOVA – CONFERMATO L'APPUNTAMENTO DEL 16 MARZO (data prevista per l'anteprima) DOVE VERRANNO PRESENTATE LE PARTI PIU' SIGNIFICATIVE DEL FILM.
“De Ma, trasformazione o declino”: questo il titolo del documentario sulla realtà del lavoro nel porto di Genova che doveva essere presentato il 16 marzo in anteprima e che l'autore, il regista Pietro Orsatti, ha temporaneamente bloccato davanti ad una vera e propria campagna di pressioni e intimidazioni su molti dei lavoratori portuali e dei testimoni che avevano raccontato nel film la propria vicenda umana e professionale.
“Si sono verificate numerose pressioni sul posto di lavoro soprattutto sui lavoratori più giovani e meno politicizzati e tutelati – racconta il regista – un film non vale un posto di lavoro, o un clima di questo tipo. Per questa ragione ho deciso con la produzione di sospendere per ora le presentazioni di questo documentario. E' paradossale questa vera e propria campagna preventiva: non è stata fatta ancora nessuna presentazione pubblica del prodotto, solo su internet, a bassa risoluzione, era disponibile da circa una settimana una versione non completa e che oggi è stata comunque ritirata. Ma le intimidazioni erano partite ancora prima che questa versione fosse disponibile: quello che è evidente è che in molti non vogliono che si racconti la realtà sulla sicurezza del lavoro, della precarietà e del declino del principale porto italiano”.
Nel film venivano raccontate, attraverso le voci di numerosi lavoratori, le drammatiche condizioni di lavoro dei portuali genovesi, e in particolari quelli della Compagnia Unica: 24 morti in cinque anni nel porto; solo in Compagnia unica una media annuale diverse centinaia di incidenti sul lavoro sui mille lavoratori; uso indiscriminato del lavoro a cottimo; precarietà diffusa e mancata applicazione della legge 84/94 che prevede, fra l'altro, il contratto nazionale per il lavoro portuale e l'istituto del mancato avviamento; assenza di una politica di gestione organica nelle aree portuali, di competenza dell'Autorità portuale, con conseguente degenerazione di tutte le principali attività di manutenzione e razionalizzazione del lavoro nei terminal.
“Non ritiro il film – racconta l'autore – e non rimando la data della sua presentazione. La necessità di tutelare quei lavoratori a rischio di discriminazioni gravissime prospettatesi in questi giorni, ci costringe soltanto ad alcuni ritocchi in montaggio: sostituire qualche voce quando si hanno centinaia di ore di film girato non è un problema”.
“La cosa più incredibile – conclude Orsatti – e che in realtà il film non vuole colpire una categoria o un'organizzazione come la Compagnia Unica, anzi. Dimostrando le enormi difficoltà che oggi attraversa la portualità in Italia, raccontando la trasformazione del settore e la drammaticità delle condizioni di lavoro si voleva contribuire soltanto a aprire una discussione realistica su quello che sta avvenendo da alcun anni a Genova. Cercare di bloccare il film, come si sta tentando di fare, dimostra solo che non si vuole che del porto se ne parli. Forse a qualcuno sta bene così”.
COMUNICATO STAMPA
DOPO SETTIMANE DI PRESSIONI E INTIMIDAZIONI SUI LAVORATORI CHE AVEVANO RACCONTATO LA PROPRIA CONDIZIONE RITARDATA LA PRESENTAZIONE DI UN FILM SULLA REALTA' DEL PORTO DI GENOVA – CONFERMATO L'APPUNTAMENTO DEL 16 MARZO (data prevista per l'anteprima) DOVE VERRANNO PRESENTATE LE PARTI PIU' SIGNIFICATIVE DEL FILM.
“De Ma, trasformazione o declino”: questo il titolo del documentario sulla realtà del lavoro nel porto di Genova che doveva essere presentato il 16 marzo in anteprima e che l'autore, il regista Pietro Orsatti, ha temporaneamente bloccato davanti ad una vera e propria campagna di pressioni e intimidazioni su molti dei lavoratori portuali e dei testimoni che avevano raccontato nel film la propria vicenda umana e professionale.
“Si sono verificate numerose pressioni sul posto di lavoro soprattutto sui lavoratori più giovani e meno politicizzati e tutelati – racconta il regista – un film non vale un posto di lavoro, o un clima di questo tipo. Per questa ragione ho deciso con la produzione di sospendere per ora le presentazioni di questo documentario. E' paradossale questa vera e propria campagna preventiva: non è stata fatta ancora nessuna presentazione pubblica del prodotto, solo su internet, a bassa risoluzione, era disponibile da circa una settimana una versione non completa e che oggi è stata comunque ritirata. Ma le intimidazioni erano partite ancora prima che questa versione fosse disponibile: quello che è evidente è che in molti non vogliono che si racconti la realtà sulla sicurezza del lavoro, della precarietà e del declino del principale porto italiano”.
Nel film venivano raccontate, attraverso le voci di numerosi lavoratori, le drammatiche condizioni di lavoro dei portuali genovesi, e in particolari quelli della Compagnia Unica: 24 morti in cinque anni nel porto; solo in Compagnia unica una media annuale diverse centinaia di incidenti sul lavoro sui mille lavoratori; uso indiscriminato del lavoro a cottimo; precarietà diffusa e mancata applicazione della legge 84/94 che prevede, fra l'altro, il contratto nazionale per il lavoro portuale e l'istituto del mancato avviamento; assenza di una politica di gestione organica nelle aree portuali, di competenza dell'Autorità portuale, con conseguente degenerazione di tutte le principali attività di manutenzione e razionalizzazione del lavoro nei terminal.
“Non ritiro il film – racconta l'autore – e non rimando la data della sua presentazione. La necessità di tutelare quei lavoratori a rischio di discriminazioni gravissime prospettatesi in questi giorni, ci costringe soltanto ad alcuni ritocchi in montaggio: sostituire qualche voce quando si hanno centinaia di ore di film girato non è un problema”.
“La cosa più incredibile – conclude Orsatti – e che in realtà il film non vuole colpire una categoria o un'organizzazione come la Compagnia Unica, anzi. Dimostrando le enormi difficoltà che oggi attraversa la portualità in Italia, raccontando la trasformazione del settore e la drammaticità delle condizioni di lavoro si voleva contribuire soltanto a aprire una discussione realistica su quello che sta avvenendo da alcun anni a Genova. Cercare di bloccare il film, come si sta tentando di fare, dimostra solo che non si vuole che del porto se ne parli. Forse a qualcuno sta bene così”.
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