martedì 9 gennaio 2007

La situazione attuale - contesto economico e sociale

Il 16 gennaio 2006 i lavoratori portuali di tutta Europa si sono riuniti a Strasburgo per protestare contro la proposta di una direttiva comunitaria per la liberalizzazione e deregolamentazione di fatto dei contratti di lavoro nei porti dell'Unione Europea. La manifestazione si è trasformata in breve in un assedio della sede del Parlamento, sfociando purtroppo in scontri con la polizia.

Non è la prima volta nell'ultimo anno che si arriva a forma di proteste anche estreme nei porti del nostro continente: a settembre 2005 le manifestazioni, i blocchi e gli scontri in Francia e in particolare a Marsiglia; a febbraio 2005 mesi di mobilitazione si sono trasformati nel blocco delle operazioni di carico e scarico anche di mezzi sui traghetti in Grecia e in particolare nel porto di Patrasso; manifestazioni, assemblee, scioperi si sono verificati anche in Olanda, Spagna e in Germania ad Amburgo.

I punti chiave della protesta, riassunti per grandi linee, e delle richieste dei lavoratori sono essenzialmente tre: contratto collettivo e forte limitazione all'uso di contratti stagionali e/o comunque precari; sicurezza del lavoro e assistenza in ambito infortunistico; riconoscimento e riaffermazione del diritto di rappresentanza sindacale. La direttiva proposta dal Parlamento Europeo, di fatto, intende intervenire, liberalizzando, "sull'accesso al mercato dei servizi portuali", quindi sulla loro liberalizzazione. Si tratta di una specie di "Bolkestein" destinata ai porti, che mira a legalizzare l'"auto-assistenza", cioè a permettere agli armatori di utilizzare il proprio personale marittimo per le operazioni in porto, a cominciare dal carico-scarico merci e dalla manutenzione. Trasferendo sulle banchine la giungla di supersfruttamento che impera a bordo con l'utilizzo di personale spesso senza diritti perché reclutato con il paravento di bandiere-ombra in Paesi poverissimi. A giudizio dei sindacati, si sarebbe trattato solo in apparenza di una liberalizzazione dei servizi: in realtà, ciascun Paese perderebbe il controllo dei propri moli e li trasformerebbe in una sorta di terra di nessuno dove avrebbero mano libera i grandi monopoli internazionali, magari con un pulviscolo di imprese paracadutate a sostituire le imprese di casa nostra. E' evidente che l'operazione ha tutto il sapore del dumping sociale e apre la strada a una recrudescenza di incidenti sul lavoro, perché la direttiva non prevede nessuna qualifica specifica per questi marittimi che si "auto-assistono", sulla nave ma anche a terra. Il testo presentato paradossalmente non soddisfa nemmeno più gli armatori, le società di carico-scarico e i gestori dei porti (che in Europa hanno situazioni molto diverse fra loro, poiché si spazia da porti pubblici a porti privati, passando per società autonome o municipali). Gli imprenditori rimproverano alla direttiva la troppa burocrazia e "l'insicurezza giuridica" che introdurrebbe. In effetti gli armatori si troverebbero costretti a dover sottostare a regole più severe in quei porti di nazioni che intervengono pubblicamente nella gestione dei porti stessi e quindi dando continuità a quel minimo di garanzie che ancora si incontrano, a volte, nella UE. Nonostante tutto anche nel testo della delibera rimane libertà ai paesi che gestiscono pubblicamente le attività portuali a non dover per forza privatizzare selvaggiamente settori così strategici anche a livello della sicurezza e ambientali delle arre territoriali dove i porti risiedono. Queste ultime tracce di regolamentazione che erano inserite nel testo presentato alla Ue, non potevano soddisfare del tutto chi da tempo chiede a gran voce la totale liberalizzazione del settore.

D'altronde, non sono stati solo i portuali a battersi contro la direttiva presentata dal Commissario europeo ai trasporti De Palacio, tornata all'esame dell'assemblea di Strasburgo per la seconda volta in neanche tre anni: basti dire che la proposta presentata dalla Commissione è stata impallinata da 532 no (mentre i sì sono stati appena 120 con 25 astenuti). Il provvedimento, dopo mesi e mesi di interminabile taglia e cuci per ripresentare un testo già bocciato in passato (2003), era tornato ad essere valutato come inaccettabile: fino al punto che Josep Borrell, presidente dell'Europarlamento bollando la "De Palacio 2" come "una direttiva riscaldata, che è stata messa in forno e servita nuovamente", ha dichiarato che la Commissione avrebbe dovuto nemmeno ripresentarla. Ma non è affatto scontato che non venga rielaborata una proposta nei prossimi mesi, vista anche la mole del business rappresentato dal trasporto marittimo e dalla fortissima lobby degli armatori/assicuratori/distributori presenti in Europa e dalle pressioni alle liberalizzazione avanzate sia in sede di WTO e sia dal Consiglio europeo di Lisbona nel 2000 che si è pronunciato per la creazione di regole assolute di mercato e di concorrenza in un settore così delicato.

La proposta di direttiva, poi, non è giustificata dalla necessità di intervenire per il rilancio e il risanamento del settore e infatti non si sta vivendo un periodo di crisi del comparto dei traffici marittimi e di conseguenza della possibile crescita dei porti europei. L'attività portuale è molto significativa in tutta l'Unione europea, che conta ad oggi 1116 porti. Il primo paese portuale è la Gran Bretagna, seguita dall'Italia e dalla Francia. Nei porti dell'Unione europea, con un traffico di più di 1,5 miliardi tonnellate movimentate all'anno, con solo in Italia 12mila dockers occupati, che rischiano in caso passi la linea avanzata in questi anni di perdere il lavoro o almeno di subire le conseguenze di una concorrenza senza pari da parte dei marittimi con contratti al ribasso. Una situazione che i lavoratori di tutta Europa hanno valutato come inaccettabile alla luce anche dell'enorme riduzione dei posti di lavoro attuata negli ultimi anni. Solo in Italia, infatti, si parla di una taglio occupazionale (tramite pensionamenti anticipati) di circa 20.000 unità.

"Fra il 1983 ed il 2001 oltre 20.000 lavoratori di quelle che allora venivano chiamate Compagnie portuali, Enti e Aziende Mezzi Meccanici sono usciti dal lavoro attraverso provvedimenti di prepensionamento. La forza lavoro all’interno dei Porti italiani, nell’arco di meno di vent’anni, è cambiata nella misura dell’80%, al punto che oggi l’età media degli addetti presenti nei porti può essere stimata intorno ai 30/35 anni. (...) Gli Enti Portuali si sono ritirati da ogni funzione operativa, trasformandosi in Autorità Portuali e le Compagnie Portuali, che operavano come organismi “di fatto” di natura pubblica, sono diventate imprese di diritto privato, mentre la gestione delle operazioni portuali è stata affidata a società private. E’ difficile trovare nel contesto italiano un processo analogo di devolution, di privatizzazione e di apertura al mercato così radicale e contemporaneo" (Opzione Mediterraneo - Ancip 2006).

Se prendiamo in considerazione soltanto l'area geografica per noi italiani più rilevante, il Mediterraneo, constatiamo che è in crescita sia la popolazione che la richiesta di materie prime e energia. Dal 2000 al 2025 L'Agenzia Europea per l'ambiente prevede una crescita pari al 40% del fabbisogno energetico nei paesi che si bagnano nel Mediterraneo a parità di indice di sviluppo. E la questione energetica significa petrolio. Dal 2000 a oggi, nonostante la crisi in Medio Oriente, il traffico marittimo di idrocarburi è sensibilmente aumentato. Si tratta di un settore enorme. Già negli anni '90 si movimentava nel bacino il 25% del traffico marittimo mondiale e oggi si sta per raggiungere la soglia del 30%. Analogo il tasso di crescita sia per il trasporto di altre merci che, anche se in modo meno sensibile, di passeggeri.

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